Cuore cavo (Viola Di Grado)
- dalibookblogger

- 27 apr 2020
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 8 mag 2020
Una storia geniale, una scrittura intensa e formidabile

Quando ho iniziato a leggere “Cuore cavo”, sin da subito ho avuto la sensazione di intraprendere un’avventura nobile, un percorso che mi avrebbe lasciato qualcosa. Sentivo che ne sarebbe valsa la pena. Ed è stato così.
Quando ho finito di leggere “Cuore cavo”, avevo addosso un insieme di sensazioni, un miscuglio di incredulità, stupore, sconcerto, ammirazione, confusione. Quel che è certo, è che per giorni non ho smesso di pensarci.
Ora cercherò di raccontare cosa c’è stato nel mezzo.
“Il 23 luglio, in piena estate, giù per le strade polverose del mio palazzo, giù come vene dell'asfalto unto e bollente, insidiosa, la mia morte si è propagata da via Crispi 21 alle strade circostanti, al Duomo con i suoi piccioni e i suoi turisti in shorts, al fiume Amenano che odora di carogna e scompare sottoterra.”
L'incipit più potente degli ultimi anni
Quello di Viola Di Grado è l’incipit più potente che io abbia letto negli ultimi anni. Mi sbilancio: forse uno dei più belli che abbia mai letto. La storia è quella del suicidio di Dorotea e di tutto ciò che ne consegue: come se la morte fosse semplicemente una forma di vita diversa e immateriale, che cambia modalità di interazione, Dorotea si trova ancora immersa nel mondo che credeva di aver lasciato e, pur essendo morta, con la sua sensibilità che trascende i limiti del corpo, fusa con la sua terra, nei prati, nel cielo, nel respiro dei gabbiani, paradossalmente è la più viva di tutto il romanzo. Dorotea continua ad andare a lavoro, si reca a trovare sua madre e il ragazzo per cui aveva una cotta. Il desiderio di lasciare quel mondo che l’aveva fatta soffrire è di fatto negato, perché dopo il suicidio lei si ritrova immersa nella stessa vita, e questo suona come una terribile condanna. La sconfitta di Dorotea, tuttavia, è soltanto apparente. E qui sta la grandezza di questo romanzo. Se da una parte l’impossibilità di comunicare con il mondo dei vivi la schiaccia nella sua solitudine, dall’altro lato Dorotea instaura con i suoi cari, ancora vivi, una connessione più intima e profonda, come mai era riuscita a fare prima, resa possibile proprio dall’immaterialità della sua essenza. Da morta Dorotea ottiene ciò che non aveva ottenuto in vita, tanto da poter abbracciare sua madre fino a entrarle dentro, fino a fondersi nel suo corpo, in una scena delicata, proprio come il suo animo.
Uno stile immaginifico, che abbonda di dettagli
Viola di Grado ha costruito un romanzo sperimentale che suona come una sfida. Ed è qui la grandissima portata della sua ricerca. Un testo che pone domande, che ci spinge a riflettere, che ci sbatte in faccia ogni dettaglio della decomposizione cui andrà incontro il nostro corpo. Che ci fa fare i conti con tutte quelle cose di cui preferiremmo non sapere nulla. Come ci ricorderanno le persone che abbiamo amato? E quelle che semplicemente in un modo o nell’altro hanno avuto a che fare con noi? Che fine faremo? Dove andremo? L'indagine di Viola di Grado trova il suo apice in uno stile sferzante ricco di immagini, metafore, associazioni originalissime, in una lingua che scava, che affonda nella terra, nei dettagli più realistici, corporei e dolorosi.
Perché leggere "Cuore cavo"
"Cuore cavo" è un romanzo unico, decadente, un pugno in faccia. Ha la potenza di un macigno. Ci ho messo giorni per digerirlo, giorni bellissimi in cui mi è sembrato che Dorotea fosse una parte di me, lei che mi aveva aperto il suo animo fragile, mi aveva reso partecipe di ogni suo fallimento, di ogni sua insicurezza, analizzandoli con lucido raziocinio. Un testo originale su tutti i fronti e per questo imperdibile. Se dovessi spiegare per quale motivo dovreste leggere "Cuore cavo", la risposta è semplice: perché non avete mai letto niente di simile.






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